IL TRIBUNALE 
    Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n.
2618 del Ruolo  Generale  degli  affari  contenziosi  dell'anno  2006
avente ad oggetto: appello sentenza g.d.p. tra Comune di Volterra  in
persona del Sindaco pro tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Anna  Ceccarelli  e  Monica  Tangarelli  presso  il  cui  studio   e'
elettivamente dom.to in Pontedera alla via Roma n. 95 giusta  procura
a margine dell'atto di citazione per appello,  appellante,  e  Cucini
Loriano residente in Volterra Podere Sasso Gianni loc.  Spicchiamola,
appellato contumace. 
                              F a t t o 
    Con ricorso depositato presso il Giudice  di  pace  di  Volterra,
Cucini  Loriano  proponeva  opposizione   avverso   il   verbale   di
contestazione n. 003034/A/05 del 27 luglio 2005 elevato dalla Polizia
Municipale di Volterra nei suoi confronti per euro  21,  oltre  spese
postali,  in  conseguenza  dell'accertata  infrazione  all'art.  7  e
dell'art. 15 c.d.s.. A sostegno dell'opposizione deduceva la nullita'
dell'accertamento in quanto notificatogli  il  27  dicembre  2005,  e
quindi oltre il termine di  150  giorni  dalla  data  dell'infrazione
(art. 201 c.d.s.). Resisteva  il  Comune  di  Volterra  deducendo  la
regolarita' della notificazione perche' avvenuta nei termini di legge
dopo l'accertamento essendo stato il verbale  consegnato  alle  poste
prima del 150° giorno. Asseriva, infatti, che anche al caso di specie
era estensibile la pronuncia della Corte  Costituzionale,  in  virtu'
della quale ha dichiarato incostituzionale l'art. 149 c.p.c.  essendo
irragionevole far discendere una decadenza dal ritardo dell'ufficiale
giudiziario, ragion per cui  il  momento  in  cui  si  deve  ritenere
perfezionata la notificazione per il notificante e' il momento in cui
il notificante ha svolto le formalita'  a  lui  direttamente  imposte
dalla legge. 
    Con sentenza n. 54 del 3 maggio 2006, il giudice  di  prime  cure
accoglieva il ricorso annullando il  verbale  opposto  e  condannando
l'amministrazione comunale al rimborso delle spese. 
    Avverso la sentenza del giudice  di  pace  proponeva  appello  il
comune soccombente. 
    Acquisita  la  documentazione,  la  causa  veniva   ritenuta   in
decisione  previa  autorizzazione   allo   scambio   delle   comparse
conclusionali e delle memorie di replica. 
                            D i r i t t o 
    Questo  Tribunale  ritiene  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  26  del  decreto
legislativo 2 febbraio 2006, n. 40,  che,  abrogando  l'ultimo  comma
dell'art. 23 della legge n. 689/1981,  ha  indirettamente  introdotto
l'appellabilita' delle sentenze che  concludono  il  procedimento  di
opposizione ad ordinanza ingiunzione in forza della  regola  generale
prevista  dall'art.  339,  comma 1  c.p.c.,  appellabilita'  che  era
esclusa dal comma abrogato. 
    Il decreto legislativo n. 40 e' stato emesso  in  virtu'  di  una
delega al Governo perche'  apportasse  «modificazioni  al  codice  di
procedura civile» contenuta nella legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1
, comma 2. I principi e i criteri direttivi a  quali  il  Governo  si
sarebbe dovuto attenere sono stati fissati dal comma 3 di tale legge,
ove sub a) sono elencati quelli che avrebbero dovuto presiedere  alle
modifiche al «processo di cassazione in funzione nomofilattica» e sub
b)  quelli  destinati   alla   razionalizzazione   della   disciplina
dell'arbitrato. 
    Esaminando  dunque  i  principi  e  criteri  sub  a),  invano  si
cercherebbe una delega estesa a modificare il regime di  impugnazione
delle  sentenze  emesse  a  conclusione  del  procedimento   previsto
dall'art. 23, legge n. 689/1981. La nuda previsione di una nuova fase
di merito a cognizione  illimitata  secondo  gli  ordinari  strumenti
propri del giudizio di appello non e' destinata a incidere  in  alcun
modo  sul  successivo   eventuale   giudizio   di   cassazione   come
disciplinato  dalla  novella,  e  (salvo  valutazioni  inespresse  di
carattere metagiuridico) non appare funzionale all'obiettivo espresso
della   legge   delega,   ravvisato   nella    maggiore    efficienza
nomofilattica. 
    Le  sentenze  dell'art.  23,  legge  n.  689/1981  concludono  un
giudizio che ha natura  essenzialmente  demolitoria;  attengono  alla
legittimita' formale  e  sostanziale  di  una  ordinanza  ingiunzione
emessa a conclusione di una fase svoltasi in  sede  amministrativa  e
gia' volta alla verifica in contraddittorio dell'illecito;  hanno  un
contenuto tipico prefissato dalla  legge  (rigetto  dell'opposizione,
accertamento  della  nullita'  totale  o   parziale   dell'ordinanza,
modifica di essa) e tale da definire in ogni caso il  giudizio.  Come
si vede, introdurra' senza limiti  (come  invece  e'  contestualmente
avvenuto per le sentenze del giudice di pace: art. 339, comma 3)  una
nuova   valutazione   di   merito   si   profila   come   irrazionale
«duplicazione» di una prima  fase  gia'  ex  se  avente  struttura  e
oggetto tipici dell'impugnazione di merito. La mancanza di  qualsiasi
accenno della legge  delega  a  modifiche  del  regime  di  esclusiva
ricorribilita' per cassazione delle sentenze in esame non  e'  dunque
casuale,  ma  salvaguarda  una  logica  di  sistema,  che  il  potere
esecutivo delegato non puo' alterare senza espressa previsione in tal
senso. 
    Previsione non rinvenibile nemmeno nella  clausola  generale  del
comma 4 dell'art. 1 della legge delega, in base al quale  il  Governo
puo' «revisionare la formulazione  letterale  [...delle  altre  norme
processuali civili vigenti non direttamente investiti dai principi di
delega». Non e'  dato  comprendere,  alla  luce  delle  doverosamente
sintetiche osservazioni sopra espresse,  in  che  modo  l'abrogazione
dell'ultimo comma dell'art. 23, legge n. 689/1981  «si  accordi  alle
modifiche apportate dal decreto legislativo»: modifiche attinenti  al
solo  giudizio  di  legittimita'  e   che   non   investono   nemmeno
«indirettamente» una norma che si limitava a prevedere  proprio  tale
forma esclusiva di controllo di  legalita',  mediante  una  eccezione
rispetto al principio generale dell'art. 339 c.p.c., comma  1  ,  del
tutto coerente con la  specificita'  della  materia  e  la  struttura
dell'accertamento da compiere. 
    La corretta verifica del rispetto della legge delega  salvaguarda
il  principio  di  stretta   delimitazione   dei   poteri   normativi
attribuibili al Governo, secondo lo spirito e la lettera dell'art. 76
della Costituzione. Il  limite  di  un  oggetto  «definito»,  secondo
l'imperativo   dato   testuale,   costituisce   allora   il    limite
costituzionale anche di quelle formule di delega volutamente ambigue,
come quella introdotta con il comma 4 appena  esaminato,  ma  proprio
per questo da riempire mediante un contenuto  pur  sempre  pertinente
con la materia delegata, secondo una oggettiva evidenza normativa. 
    E' ovvia la rilevanza in causa della  questione  di  legittimita'
costituzionale  cosi'  introdotta,  appena  ove  si  osservi  che  la
sentenza oggetto di appello e' stata  pubblicata  dopo  l'entrata  in
vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40,  come  prevede
l'apposita norma transitoria dell'art. 27, e che  primo  compito  del
giudice  di  appello  e'  verificare,   anche   d'ufficio,   che   il
provvedimento sia appunto appellabile.